Una figura che viene spesso sottovalutata all’interno del carcere è quella del mediatore, anche se in realtà essa gioca un ruolo chiave con i detenuti provenienti dall’estero e che non parlano la lingua italiana. Si tratta infatti di un ruolo per nulla semplice da interpretare e che richiede abilità nel conoscere determinate lingue, ma anche doti nell’arte di relazionarsi con il prossimo. ASP Città di Bologna gestisce per conto del Comune di Bologna lo Sportello di Mediazione in carcere insieme al consorzio Arcolaio. Ecco nel concreto cosa vuol dire essere mediatore all’interno del carcere di Bologna.

 
Il ruolo del mediatore in carcere: di cosa si occupa
 
Nel carcere della Dozza si parlano circa 54 idiomi differenti e, tra questi, l’arabo è sicuramente la lingua più diffusa e parlata, seguita dall’albanese e dal rumeno
Appare evidente, perciò, come sia necessario avvalersi di mediatori che siano in grado di parlare sia l’italiano che le lingue più diffuse in carcere, per cercare di sopperire al problema del linguaggio e della comprensione.
Solitamente, infatti, i mediatori hanno a che fare con le nazionalità più disparate, ma tutte unite da un filo conduttore: il fatto di trovarsi spaesati e di non sapere come comunicare le proprie esigenze.
 
L’obiettivo principale del mediatore in carcere è dunque quello di interfacciarsi con i reclusi stranieri, fungendo da tramite e da collante tra i detenuti e le istituzioni, ma anche tra i detenuti e i propri famigliari.
 
In sostanza, il mediatore agevola i detenuti stranieri a mettersi in contatto con la propria famiglia d’origine, per parlarsi e aggiornarsi sulle condizioni di salute; li aiuta a recuperare i documenti che saranno utili alle istituzioni rispetto ai processi burocratici; o interviene quando si verificano atti autolesionisti e non se ne comprende il motivo.
Il detenuto può richiedere l’incontro con il mediatore, tramite domande su appositi moduli, ogni qual volta lo desidera e i colloqui tra le parti avvengono in un’apposita stanza. 
 
 
 
Difficoltà del mediatore durante il lavoro
 
Ma, come in ogni professione, non tutto è rose e fiori. Ci sono anche delle difficoltà e una di esse è indubbiamente la non consapevolezza del detenuto di alcune leggi e del perché ci sono. Molti reclusi, infatti, sono poveri dal punto di vista culturale e hanno dei percorsi di studi limitati. 
 
Così, capita spesso che sia il detenuto che i familiari presentino le stesse problematiche: difficoltà per la lenta burocrazia (spesso è necessario almeno un mese per parlare con una persona detenuta); problemi di comunicazione; difficoltà nell’utilizzo di internet. 
 
Una criticità rilevata è il riconoscimento del ruolo del mediatore. Alcune volte capita ad esempio che i detenuti confondano la figura del mediatore con quella del volontario, chiedendo di risolvere problemi che non rientrano nella sua competenza, o che addirittura non capiscano per chi stia lavorando, se a favore dell’amministrazione penitenziaria o per il recluso stesso.
 
Sono tutte problematiche che il mediatore deve saper affrontare con prontezza di spirito e grandi capacità di dialogo e di relazione. Solo così si può svolgere un eccellente lavoro per il detenuto, aiutandolo là dove la lingua rappresenta un ostacolo per la comunicazione.
 
Non dimentichiamoci quanto la comunicazione giochi unruolo decisivo e fondamentale per i detenuti stranieri, connettendoli con il mondo esterno e facendoli sentire ugualmente parte di un mondo che va ben oltre le mura del carcere.
 
 
 
Pubblicato il 30 giugno 2020