Chi l’ha detto che usare il “bastone” in carcere ha un effetto positivo sui detenuti? I fatti dimostrano, al contrario, che usare la “carota” nelle carceri italiane porta a dei risultati concreti in termini di corretto reinserimento all’interno della società.

E questo non lo affermiamo noi, ma l’area educativa della casa circondariale di Bologna, che fa parte dell’amministrazione penitenziaria e che si occupa di esecuzione penale in modo esclusivo.

ASP Città di Bologna, a fianco della casa circondariale Rocco d’Amato, agisce per raggiungere questo obiettivo.

In cosa consiste il carcere rieducativo. Ne abbiamo parlato con Massimo Ziccone, direttore dell'Area educativa della Casa Circondariale di Bologna. 

Il concetto di carcere rieducativo non è così radicato nel passato italiano, ma è solo dal 1975 che è stato introdotto il principio rieducativo applicato all’ordinamento penitenziario. Così facendo, da quel momento in avanti, la pena non doveva più essere solo punitiva, ma finalizzata al reinserimento dei reclusi in società.

L’obiettivo della Dozza, così come di tutte le carceri in Italia, è quello di creare le condizioni per far sì che i detenuti partecipino ad attività lavorative già all’interno del carcere, così che, una volta finita la pena, possano integrarsi nuovamente nella società come cittadini.

Certo, non è pensabile che un detenuto appena scarcerato possa lavorare immediatamente, proprio per questo serve il carcere rieducativo: per far sì che durante l’ultimo periodo della pena il detenuto possa far parte di attività sia dentro che fuori dal carcere, in modo tale da attuare un graduale reinserimento all’esterno, riallacciando rapporti con la famiglia, se presente, con il mondo del lavoro e con la comunità.

È il motivo per cui alla Dozza l’amministrazione penitenziaria si preoccupa di organizzare sia attività dentro al carcere, ma anche di trovare partner esterni che diano la possibilità ai detenuti di effettuare tirocini formativi e retribuiti.

Vengono solitamente proposte soluzioni e progetti verso l’esterno, anche seè sempre il magistrato che valuta i detenuti più idonei, sulla base delle informazioni che riceve riguardo ad essi.

Vantaggi rispetto al carcere punitivo

Se l’obiettivo è far sì che i cosiddetti ex detenuti socializzino con la comunità, è ovviamente auspicabile un basso tasso di recidiva, e per arrivare a questo è necessario far capire ai cittadini che la rieducazione è l’unica via percorribile per arrivare a questo fine. 

Bisogna infatti concentrarsi sui dati oggettivi che parlano chiaro. Il sistema della repressione ottiene risultati ben peggiori rispetto al sistema rieducativo

Basti pensare al fatto che in tutto il 2019 ci sono stati 276 omicidi in tutta Italia mentre nella sola città di Chicago, dove vige la pena di morte, ce ne sono stati circa 600 nello stesso arco di tempo. 

Dati alla mano, dunque, è nettamente meglio un sistema rieducativo invece che punitivo, specie perché a Bologna solo 1 detenuto su 1000, tra coloro che vengono selezionati per partecipare al sistema rieducativo, torna a commettere reati.

Ci rendiamo conto, però, che non sia facile far percepire questo messaggio alla comunità, dato che il carcere è comunemente visto come un luogo di repressione, nonché come un contenitore di “criminali”.

É importante avere informazioni chiare su questo tema, perché ci permette di capire ciò che viene messo in campo per agevolare il sistema rieducativo e riabilitativo delle persone detenute.

Poiché un soggetto che viene reinserito correttamente in società contribuisce attivamente a costruire la quotidianità in cui tutti viviamo, non è solo un “costo” in più per tutta la comunità, ma diventa anche una preziosa risorsa.