Il panorama bolognese offre una vasta gamma di strutture di pronta accoglienza per le persone in situazioni d’emergenza. Tra queste ce n’è una che ancora non vi avevamo menzionato, ma che merita fortemente di essere approfondita: San Sisto.
 
La struttura in questione ha una storia particolare, dato che è stata aperta nel 2017, trasformando l’ex ostello della gioventù di Bologna in una struttura di pronta accoglienza, per merito di ASPe del Comune di Bologna.
 
In questo articolo vi offriamo unapanoramica generale di San Sisto, soffermandoci sia sugli obiettivi che vengono intrapresi dal personale, ma anche sulle reazioni delle famiglie che si riscontrano dentro alla struttura.
 
Quali sono le persone che vengono accolte a San Sisto e gli obiettivi che si perseguono all’interno di essa
 
L’identità di San Sisto come è conosciuta oggi nasce dalla volontà del Comune di Bologna di andare incontro ad un bisogno che emerge, ovvero quello diaccogliere le famiglie in difficoltà con minori. San Sisto, infatti, ha una particolarità che la caratterizza rispetto ad altre strutture di accoglienza bolognesi: è una struttura di pronta accoglienza che accoglie esclusivamente nuclei familiari e ha una formula “comunitaria”. 
 
Con questo termine si intende che, per conformazione, i nuclei familiari dormono in una camera, mentre i bagni e la cucina sono in comune. Ciò significa imparare a condividere gli spazi - nuclei di famiglie, ad esempio, devono prenotare  i turni per le piastre in cucina - proprio come fosse una sorta di ostello. La capienza, inoltre, è di 80 persone, divise mediamente in 40 adulti e 40 minori, dove solitamente si riscontra la presenza di circa 18-20 nuclei di famiglie.
 
All’interno della struttura si trova il personale, formato da educatrici e assistenti sociali, che lavorano H24, accogliendo le famiglie che hanno perso casa e lavoro. Queste figure sono gli “strumenti” che accolgono ituazioni di fragilità con l’obiettivo di costruire percorsi di autonomia anche al di fuori della struttura nel corso del tempo. All’interno di San Sisto, infatti, si trovano principalmente famiglie straniere che hanno subito fragilità economiche e abitative, trovandosi in situazioni delicate e fragili. 
 
Le concessioni di permanenza all’interno della struttura abitativa si rinnovano di 3 mesi in 3 mesi, considerando che il tempo massimo di permanenza è di 24 mesi, per poi transitare verso percorsi diversi. Durante questo arco temporale viene svolto un lavoro costante e giornaliero per far sì che le autonomie di queste famiglie vengano recuperate. Perché autonomia significa anche sostenibilità
 
Come reagiscono i nuclei famigliari all’interno della struttura
 
All’interno della struttura di San Sisto i nuclei familiari non sempre reagiscono nello stesso modo. Ci sono infatti alcuni nuclei che provano vergogna e profonda voglia di riscatto, così provano costantemente a cercare strade per evolvere, vedendo questa come una possibilità concreta per integrarsi nella società. Altri nuclei, invece, sono caratterizzati da un bisogno assistenziale molto profondo e sviluppano poca determinazione a mettersi in gioco.
 
Questa voglia di migliorare la propria condizione dipende molto dall’attitudine del nucleo familiare, soprattutto dipende dalla partecipazione dei genitori che può essere attiva o passiva caratterizzando due scenari: o la famiglia si adagia e non evolve, o si adatta e ne esce fuori al meglio.
 
Gli operatori ed educatori cercano proprio di lavorare su questo aspetto con le famiglie, facendo capire loro che il nucleo in sé può essere una grande risorsa per il futuro, ma solo se si crea una forte volontà all’interno di esso.
 
Questo è solo il primo di una serie di articoli in cui parleremo in maniera più approfondita della struttura San Sisto, anche riguardo il lavoro concreto degli operatori e le attività che vengono proposte ai nuclei familiari. Non perdete i prossimi aggiornamenti!
 
Pubblicato il 14 ottobre 2020