Era il ’48 quando Carlino finì le scuole, dopo aver recuperato i due anni persi a causa della guerra, durante i quali era stato in campagna, in un paese vicino a Bologna, presso degli zii, aveva dodici anni ed era pronto per imparare un mestiere.
A dir la verità di mestieri ne aveva già provati diversi, perché durante le vacanze aveva fatto il fattorino da un fruttivendolo, da un salumiere, da un calzolaio e in una bottega di stoffe. E nessuno era stato un divertimento.
Ma il lavoro definitivo, che non si ricorda nemmeno più come mai fu scelto dalla sua famiglia, fu il falegname. Il laboratorio dove Carlino cominciò a fare il fattorino era in via Riva Reno, vicino al canale. Il suo compito consisteva nel tenere pulita la bottega, aiutare gli operai porgendo loro gli arnesi e il materiale di cui avevano bisogno, e poi andare fuori, in ferramenta o in segheria, a ritirare le merci necessarie all’attività. Il mezzo di trasporto era un carretto a mano, e il padrone non aveva nessuna remora a mandarlo da solo, anche se il materiale da caricare era di un peso esagerato:
«Vedrai che troverai qualche coglione che ti dà una spinta!» era quello che gli diceva.
E infatti, quasi sempre, Carlino trovava un buon uomo che aveva compassione di quel povero ragazzetto, alla stanga come un somaro, e che l’aiutava dicendo:
«Ma chi è qual disgraziato del tuo padrone, che ti fare una fatica così!»
Una volta, che dovevano consegnare una cucina a Sasso Marconi, il padrone aveva preso in prestito un furgoncino a pedali e li mandò in due, per la Porrettana, uno a pedalare e l’altro dietro a piedi. Al ritorno, per fortuna, uno, a turno, pedalava, mentre l’altro se ne stava nel cassone.
Più avanti ebbero un triciclo di proprietà, e allora fu una goduria, quand’era vuoto, pedalare per Bologna! Se dovevano attraversare via San Felice, che si abbassava sul canale di Reno, lanciavano il furgoncino giù per la discesa per prendere lo slancio e salire di volata dall’altra parte! Ma quand’era pieno!
Uno degli altri fattorini che lavorò insieme a Carlino era un ragazzo che tutte le mattine andavano a prendere al carcere minorile del Pratello, per poi riportarlo là alla sera. Sembra che fosse dentro per aver picchiato suo padre, ma era un gran lavoratore, e sul lavoro si comportò sempre bene.
Una volta, insieme a quel ragazzo e sempre col triciclo, dovevano portare dei mobili vicino alla fabbrica del ghiaccio, in via Azzo Gardino. Sul furgoncino riuscirono a caricare un’intera camera matrimoniale, comprese le reti del letto. Era un peso esagerato, la ruota posteriore non si sollevava solo perché il peso di chi pedalava faceva da contrappeso al cassone. Quella volta però avrebbero dovuto andare giù da una discesa e il freno, che era solo nella ruota posteriore, non prendeva per il peso di Carlino sulla sella, che però non poteva rialzarsi per non rischiare di rovesciare tutto. Carlino si era già visto sfracellato, coi mobili e tutto, in fondo alla discesa, ma il suo compagno, svelto come un fulmine, si buttò sdraiato per terra davanti alle ruote, riuscendo a fermare il furgoncino.
Tutte le sere Carlino doveva lavorare mezz’ora in più, non pagata naturalmente, per spazzare il laboratorio, raccogliere segatura e trucioli e portarli in cantina. Una sera, che il padrone non c’era, lui lasciò il lavoro insieme agli altri. La mattina dopo il boss lo affrontò:
«La prossima volta che non pulisci, il mattino dopo puoi anche stare a casa!»
Non poteva certo dire alla sua famiglia che aveva perso il lavoro per non aver spazzato la bottega! A dire la verità, dato che lì vicino c’era un meccanico da biciclette, che erano la sua passione, che cercava un fattorino, lui provò a dire che avrebbe voluto cambiare lavoro, ma sua madre e le sorelle, che erano quelle che gli lavavano i panni, gli obiettarono che sarebbe stato un lavoro più sporco, e così Carlino dovette rimanere falegname. E pensare che il meccanico da biciclette è quello che fa adesso, da pensionato e gratis, per i ragazzi di una società ciclistica giovanile.
Più tardi, quando non era più un semplice fattorino, la sera cercò di recuperare un po’ di quegli studi che non aveva potuto fare. Frequentò la Scuola d’Arte, che aveva sede in via Cartolerie, ed era sempre in lotta col padrone per poter lasciare il lavoro in orario e correre, in bicicletta, attraverso la città per arrivare a scuola in tempo.
Con gli anni Carlino il mestiere l’ha imparato bene e ha potuto lavorare con altri padroni, facendo valere la sua esperienza e le sue capacità. E ha avuto sotto di lui dei ragazzi che, a loro volta, hanno imparato bene a fare il falegname. Per lui furono degli aiutanti, degli allievi, spesso dei buoni amici, ma mai degli schiavi. Per fortuna i tempi erano cambiati da quando aveva iniziato lui, o forse era cambiata la coscienza dei lavoratori.
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