Il giorno che mia madre non sapeva dove lasciarmi, e dovendo andare a fare la spesa, mi portò in centro, e per la prima vola al Mercato delle Erbe. Un breve aneddoto che mi è stato riportato più tardi, vuole che strada facendo, camminando sotto un portico, vidi appesi al centro delle arcate, delle plafoniere; guardandole esclamai: “Guà mama i peren di violen dove per vìolen si intende gli orinali da notte.

Ed ecco che allora, in quel luogo magnifico, di sogno, da quella cornucopia dell’abbondanza, scaturivano promesse di ogni genere.

Solo la vista di merci sconosciute: frutta, verdure e derrate varie, scaldava il cuore.

Lo sguardo roteava all’intorno, non sapendo dove fermarsi, carezzando quelle cose mai viste e nemmeno immaginate. Tutto questo mondo mi si offriva all’improvviso. Tutto in una volta.

La conoscenza delle cose, in genere, negli anni precedenti era stata oggettivamente poca, per le cause sopra descritte. In quel luogo, allora, oltre alla vista si scatenava la ridda dei profumi.

Odori mai sentiti prima: l’odore del caffè tostato, ben diverso da quello del surrogato “Miscela Leone”, delle patate americane dolci cotte al forno, e dei datteri; su tutti sovrastava l’odore della “Forma” oggi Parmigiano, e della vaniglia ma una classifica vera non potrei farla…

Osservando tutt’attorno le merci, notavo sui banconi enormi vasi di vetro contenenti sottaceti profumati, salumi in grande varietà di colori, forme e dimensioni, pronti ad essere passati al filo della “Berkel”; immensa, rossa, con un volano che associavo sempre a quello della 500 Guzzi; enorme che ruotando velocemente procedeva un magico “tic”; segnale che una fetta si adagiava nella carta oleata, tracciando così nell’aria quella scia fragrante da pifferaio magico. L’avrei seguita dovunque.

Enormi vesciche gonfie di strutto; e formaggi grandi e piccoli e vasche di stracchino morbido col suo bravo cucchiaione infilato nella crema; e latte grandi aperte di tonno sott'olio e del più economico sgombro, e sarde, e alici. E il cioccolato spalmabile, precursore della Nutella, anch’esso in grandi contenitori rotondi, fatti di strati di legno di pioppo; e spezie tra cui cannella e chiodi di garofano.

Tutto ciò invadeva e permeava le narici, che si ritraevano schifate non appena con la mamma attraversavo il reparto del pesce.

Ma poi, tutto sommato, anche quello contribuiva alla somma di questo meraviglioso amalgama.

Da perdere la testa.

E così, intanto che volavo in quel paradiso, finalmente il commesso da dietro i suoi occhialini guardando mia madre, chiedeva: a lei signora cosa posso dare? Debolmente la risposta era: mezzo chilo di farina, per favore… grazie…

 

Ancora oggi rimpiango quel tipo di negozio dove i prodotti, tutti si può dire, erano a cielo aperto; purtroppo a causa di norme igieniche ora tutto è confezionato e asettico, così il desiderio di acquisto non è più sospinto dai profumi, ma dalla mera necessità di un dato prodotto.

 

 

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