Cambia la struttura delle famiglie, la crisi economica non allenta la sua morsa, le comunità cambiano insieme alla natura dei problemi che si trovano ad affrontare. Chi deve sostenere il benessere delle famiglie e degli individui di fronte a questi mutamenti deve poter agire in maniera dinamica, flessibile, adeguata.
L’Assessorato al Welfare della Regione Emilia Romagna ha risposto emanando nuove linee guida per i Centri per le Famiglie, con l'obiettivo di fornire una serie di indicazioni utili per la loro riorganizzazione, aggiornandone la fisionomia e adattandone le finalità al contesto attuale.
 
I nuclei sono mediamente più piccoli che in passato, spesso più instabili, molte sono le famiglie di origine straniera, le famiglie ricomposte, le famiglie monogenitoriali o omogenitoriali.  Questa eterogeneità convive in un contesto duramente colpito dalla crisi. Uno scenario molto diverso da quello che caratterizzava la fine degli anni 80, quando i centri nacquero in Emilia Romagna.
 
Ora sono 32, con una copertura territoriale di circa l’80% della popolazione. “Sono un presidio importante per l’accoglienza e il sostegno a tutte le famiglie che attraversano fisiologici momenti di difficoltà o di cambiamento (…). Lo fanno partendo dall’idea che tutte le famiglie portano al loro interno energie e risorse per superare i momenti difficili e a volte essere risorsa per altre famiglie in difficoltà”. Questo si legge nella Prefazione alle linee guida, a firma Elisabetta Gualmini (Vice Presidente della Regione e Assessore al Welfare), linee guida che individuano anche le tre aree di attività fondamentali dei Centri: informazione, sostegno alle competenze genitoriali e sviluppo delle risorse familiari e comunitarie. Agendo su queste leve, si promuove il benessere delle famiglie e con esse dell’intera comunità locale, in un’ottica proattiva, cioè rendendo protagoniste attive le famiglie stesse.
 
In occasione dell’emanazione delle nuove linee guida, abbiamo visitato il Centro per le Famiglie di Bologna, gestito da ASP, incontrando Chiara Labanti, responsabile del Centro, Daniela Vit, che si occupa di assegni di maternità e al nucleo familiare con 3 o più figli, Alisia Pellegrino, assistente sociale nell'équipe affido e adozione, Benedetta Verondini,  assistente sociale nell’équipe affido e adozione, e Stefania Pilastri, che si occupa di sviluppo risorse di comunità, progetti di sostegno familiare e del programma Pippi. Il centro, che per lungo tempo è stato in Via Orfeo 40/2, si sta preparando al trasloco. La nuova sede sarà in Via del Pratello 53, nei locali che ospitavano il Circolo Culturale Pavese.
 
Chiara Labantici ha prima di tutto illustrato le attività fondamentali del Centro per le famiglie di Bologna. “Il Centro è un luogo in cui le famiglie trovano informazioni, le risposte a qualsiasi dubbio o difficoltà quando si hanno dei figli. Accanto al lavoro informativo ci sono servizi specifici: il counseling genitoriale, che accoglie genitori che sentono di avere problemi con i figli e li ascolta, riflette e stimola a metter in gioco le risorse che già hanno e magari in quel momento di difficoltà non vedono” e la mediazione familiare a cui si rivolgono genitori separati che devono prendere accordi sui figli, con l’intento che entrambi possano mantenere in pieno il proprio ruolo di padre e di madre.
 
“L'ottica di riferimento”, ci ha spiegato Stefania Pilastri, che lavora nel progetto Pippi, “è quella di lavorare per sostenere i legami genitori e figli. Molto spesso ci troviamo a lavorare con famiglie che ci sono segnalate dai servizi sociali territoriali e che presentano alcune fragilità. Sono fragilità che in genere si sommano: di ordine economico, di integrazione, fragilità personali che si ripercuotono sullo sviluppo dei propri figli. Il Centro per le Famiglie si attiva in modo trasversale, di supporto, con l’idea che ci può essere un tessuto sociale solidale, che può creare rete intorno a queste famiglie. Sono nuclei spesso isolati, privi di legami anche sociali, il nostro obiettivo è sostenere e promuovere questo tipo di mentalità (fare rete) anche con azioni di sensibilizzazione della cittadinanza, con interventi anche molto concreti di affiancamento alle famiglie nelle diverse forme che l'accoglienza prevede.
 
Quello che intendiamo con il termine accoglienza ce lo ha spiegato Benedetta Verondini: “è un termine molto ampio che utilizziamo per definire vari tipi di intervento, collegati fra di loro. C'è l'affidamento familiare vero e proprio, che può essere l'affidamento a tempo pieno di un bambino presso una famiglia affidataria ma può essere anche l'affidamento part time per alcuni momenti nell'arco di una settimana. Può essere l'appoggio familiare, quindi una famiglia che si affianca ad un'altra un po' più in difficoltà, oppure una famiglia che si occupa di un bambino solo per delle esigenze di carattere pratico organizzativo (accompagnarlo a scuola, aiutarlo nei compiti), nella formula del volontariato familiare.
 
Sul tema dell’accoglienza l’impegno del Centro per le Famiglie di Bologna è molto forte. “Nel Centro per le Famiglie di Bologna ci sono le équipes centralizzate, cioè per tutta l'area bolognese, con assistenti sociali e psicologhe, che trattano il tema dell'adozione, dell’affido e dell’accoglienza familiare”, ha precisato Chiara Labanti. “Per una coppia che ha l'idea di voler adottare il primo punto di riferimento è il Centro per le Famiglie. Qui farà tutto il percorso preliminare e poi troverà il sostegno nel corso dell'adozione. Abbiamo gruppi di genitori adottivi per fasce di età. Stessa cosa per l'affido, anche se non ne seguiamo l'iter, ma prepariamo le coppie, le abbiniamo ai bambini che sono seguiti dai Servizi Sociali Territoriali e supportiamo la famiglia, che partecipa al gruppo delle famiglie affidatarie. La famiglia di provenienza del bambino viene invece seguita dai Servizi Sociali Territoriali.”
 
Stefania Pilastri ci ha parlato delle difficoltà a trovare famiglie disposte all’accoglienza, in tutte le sue forme: “Non è facile trovare nella cittadinanza una risposta di solidarietà, ma se non si lavora alla creazione di ponti con il contesto sociale di appartenenza, le famiglie con fragilità resteranno sempre escluse o problematiche o incapaci di sostenere da sole la crescita dei loro figli”.
 
Che cosa trattiene le famiglie dall’offrirsi per aiutarne altre? Ci ha risposto Chiara Labanti: “Io credo principalmente i pregiudizi. C'è un pregiudizio sui servizi, sulle assistenti sociali. Sono viste come quelle che si fanno i fatti degli altri, che portano via i bambini, che hanno idee sbagliate sulle persone.
La preoccupazione poi è che i servizi sociali chiedano troppo e poi spariscano nelle situazioni di difficoltà. L'altro pregiudizio è forse che si pensi che i bambini e le famiglie da sostenere siano troppo difficili. Invece sono persone molto normali che aiutano delle persone molto normali. L’aiuto diventa reciproco: è vero che posso aver preso i tuoi bambini ogni giovedì pomeriggio per giocare con i miei, ma magari quando ho traslocato sei venuto a casa mia a smontare il mio armadio e lo hai rimontato per me. 
 
 
Tratto dal periodico di informazione di ASP Città di Bologna - Mosaico news n.ro 1/2015