
Le cosiddette adozioni “in casi particolari” riguardano quattro categorie di bambini adottabili, i bambini orfani di padre e di madre, i bambini afflitti da disabilità, i bambini nati da un precedente matrimonio, o ancora bambini che vivono con il coniuge del genitore biologico, comunque tutti i bambini che non sono altrimenti adottabili. Tutti questi bambini, per “colpa” delle leggi, non hanno gli stessi diritti degli altri. Per esempio nel cognome, nel ruolo del genitore, che non è un genitore fino in fondo, per cui il bambino non ha né nonni, né zii, né effettivi legami di parentela. Con gravi conseguenze, anche di tipo ereditario, ma anche nella garanzia di poter godere della stessa assistenza sanitaria o ancora degli alimenti. Rispetto alle adozioni “in via principale”, quelle di piccoli abbandonati o di coppie coniugate, parliamo dunque di bambini discriminati nei loro diritti.
La Corte scrive che il mancato riconoscimento dei rapporti civili con i parenti di chi adotta viola l’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza e discrimina appunto quel bambino che è stato adottato nella categoria dei “casi particolari” rispetto agli altri figli più fortunati perché adottati nella pienezza del significato che il concetto stesso di adozione può avere.
La conseguenza è che il bambino adottato “in casi particolari” non potrà godere, come scrive la Corte, delle “relazioni giuridiche che contribuiscono a formare la sua identità e a consolidare la sua dimensione personale e patrimoniale”. Tutto questo in netto contrasto con la nostra Carta che all’articolo 31 tutela “l’infanzia” e con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela a sua volta il rispetto della vita privata e familiare.
Fonte: www.repubblica.it - Il Corriere di Bologna