Intervista a Claudia Carati, operatrice socio-sanitaria del Centro Servizi di via Saliceto
Assistere giorno dopo giorno, talvolta per anni, gli anziani, spesso non autosufficienti o affetti da gravi patologie. Prendersi cura di loro nella quotidianità e nell’intimità dei loro bisogni fondamentali - lavarsi, vestirsi, mangiare, dormire – con fatica e dedizione, investititi di un ruolo per nulla semplice: accompagnare gli anziani verso la fine del viaggio. È l’impegno dell’Operatore Socio-sanitario (OSS), l’ultimo (ma non per importanza) nodo della rete dei servizi ASP dedicati agli anziani, il punto di contatto sensibile tra l’istituzione e l’utente, parte essenziale di un ingranaggio all’apparenza semplice ma estremamente delicato.
Claudia Carati lavora da 20 anni al Centro Servizi di via Saliceto, recentemente ristrutturato e immerso nel verde, che ospita 200 pazienti suddivisi in tre reparti dai nomi floreali. Claudia lavora nel reparto Gardenia: corridoi colorati, spazi ampi e stanze accoglienti che ospitano anziani con storie e patologie differenti: “Qui da noi ci sono persone con disagio psichico o affette da demenza senile; anziani che presentano problematiche fisiche (esiti di ictus o fratture, ad esempio) ma anche pazienti che restano in struttura un mese al massimo, per la riabilitazione o per dare sollievo alle famiglie che vivono particolari situazioni di difficoltà”. Il lavoro dell’OSS – ci tiene a sottolineare Claudia – è un lavoro di èquipe “che richiede la condivisione costante di informazioni tra le figure che gravitano intorno all’ospite, dal medico all’infermiere, dall’animatore al fisioterapista". La condivisione delle informazioni è dunque un passaggio fondamentale: "All'inizio di ogni turno avviene lo scambio delle consegne, l'infermiere consegna il diario del singolo ospite che viene aggiornato in caso di eventi particolari; in base alle informazioni contenute nella scheda personalizzata noi sappiamo come comportarci con i vari pazienti”.
Un altro protagonista della vita in reparto sono i familiari che "vengono spesso a trovare i loro congiunti, anche a pranzo e a cena, e li portano a casa per le festività". Si sfata così l'immagine del familiare che "abbandona l'anziano in ospizio", anzi - ci spiega Claudia - "la fase d'ingresso è molto impegnativa soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i parenti che sfogano con noi le loro ansie. Ma è comprensibile: dopo aver accudito il proprio familiare per tanti anni, è dura decidere di portarlo in una casa di cura, di affidarlo a persone che sono comunque estranee".
Nel reparto, in cui la maggior parte degli anziani non è autosufficiente, il tempo è scandito dai bisogni degli ospiti - il sonno, la fame, l’igiene -, anche il giorno e la notte si susseguono secondo ritmi e regole consuetudinari. "La mattina è il momento più faticoso, in cui si concentra la maggiore mole di lavoro e quindi anche il maggior numero di operatori (siamo in 9 nel turno di mattina, 6 nel pomeriggio). Si parte dall’alzata che consiste nell’aiutare gli ospiti nelle attività della vita quotidiana in base al loro grado di autonomia: dal lavarsi al vestirsi all’essere messi in carrozzina. Le RAA si occupano con una di noi delle colazioni e della preparazione della sala per il pranzo dove gli ospiti vengono accompagnati e aiutati se necessario; dopo aver mangiato, si riaccompagnano in camera per il riposo. Nel pomeriggio inizia il secondo turno con l’alzata degli ospiti che, durante la settimana, possono partecipare a diverse attività di animazione, in base al loro grado di autonomia. Dopo la cena, alle 19.20 comincia la notte che finisce alle 7 del mattino. L’OSS è presente in ogni momento, 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, 365 giorni l’anno”.
Prendersi cura di un anziano è un impegno gravoso che implica fatica fisica ma anche emotiva: "In reparto s'interagisce ogni giorno con la morte o con patologie che non hanno alcuna possibilità di ripresa, spiega Claudia. In ospedale un paziente ha la possibilità di migliorare e di tornare a casa; qui la speranza di un miglioramento è molto flebile".
Un lavoro che ti pone davanti alla fragilità dell'anziano e, di riflesso, alle fragilità che tutti siamo destinati a incontrare: "Il nostro lavoro ci mette sempre a stretto contatto con quello che può succedere a noi e alle persone più care. Tutti abbiamo genitori che diventano anziani, e anche noi lo diventeremo. A livello emotivo imparare a gestire tutto questo richiede impegno e tempo, esperienza e volontà".
Un mestiere che richiede forza di carattere e una buona dose di umiltà: "Nella nostra struttura ci sono molti tirocinanti - racconta Claudia - tra di loro ci sono ragazzi che hanno fatto un altro percorso di studi ma, a causa della crisi, hanno deciso di frequentare il corso per OSS nella speranza di trovare un impiego. È una motivazione più che nobile però non tutti sono adatti. Quando sono arrivata qui avevo 19 anni, non ero neanche qualificata, non sapevo cosa mi aspettava ma se si ha l'umiltà di darsi il tempo, se si va di là delle apparenze e del primo impatto emotivo, si inizia a capire di cosa è fatto questo lavoro" e si ricevono in cambio anche delle soddisfazioni. Per Claudia la più grande soddisfazione sta in "quello che si riesce a ottenere dalle persone, il sorriso che scappa a un ospite con cui sei entrato in sintonia, il lavoro di squadra che ti permette di risolvere i piccoli problemi quotidiani".