"Bruna e il bambino Giuseppe"
Sassomorello, nell'Appennino modenese, comune di Prignano sulla Secchia, è dove sono nata nel luglio 1920, prima di nove fratelli. All'età di quattordici anni andai a servizio a Bologna, presso la famiglia di un insegnante dell'Accademia di Belle Arti e pittore, la cui moglie era amica della mia maestra. Prima di allora non ero mai uscita dal mio paese, il mio viaggio più lungo era stato andare a piedi da casa alla chiesa o alla scuola.
Da Bologna fino a Sassomorello tra autobus, corriere e tratti a piedi ci voleva quasi un giorno di viaggio. Per questo andavo a casa solo di rado. In estate, quando i miei padroni andavano in vacanza al mare, mio padre mi mandava come mondina nella zona di Molinella, così potevo contribuire maggiormente al mantenimento della numerosa famiglia. Mentre io ero a servizio a Bologna, mio padre, abituato a decidere sempre di testa sua, pensò bene di prendere in affido un bambino dall'orfanotrofio, allora si diceva “dai bastardini”, perché così avevano fatto diverse famiglie del paese. C'era un compenso di quaranta lire (mensili?) per tenere questi bambini, cifra non trascurabile nel bilancio famigliare dell'epoca.
Il bambino si chiamava Giuseppe. Aveva forse quattro anni quando venne in famiglia. Purtroppo era di salute cagionevole, aveva problemi di udito e continuava a bagnare il letto. Mia madre con tanti figli suoi, non poteva accudirlo come sarebbe stato necessario e d'altra parte la mia famiglia non aveva mezzi sufficienti per garantirgli le cure. Si decise perciò, dopo un anno di permanenza da noi, di portarlo in istituto. Tutto questo accadeva in mia assenza, ma mio padre attese una mia visita a casa per andare insieme a Modena a svolgere il doloroso compito. Partimmo in quattro, io, mio padre, un mio fratello che studiava in collegio a Modena e Giuseppe, che per tutto il viaggio restò attaccato alla mia gonna. Quando arrivammo in istituto dopo la sosta al collegio, mio padre si fermò in portineria ed io salii al piano superiore con il bambino.
Pensavo di affidarlo ad un'assistente, ma questa, dopo avermi ascoltata, mi disse “lo lasci pur lì”, come se si fosse trattato di un pacco.
Eravamo in una grande sala c'erano molti bimbi intorno ad un tavolo, io feci sedere Giuseppe e dissi “ Vedete bambini, questo é Giuseppe, prendetelo a giocare con voi” ed intanto distribuii delle caramelle che mi ero portata. I bambini si distrassero con le caramelle e Giuseppe con loro. Gli dissi che scendevo a prendere la valigia e fu l'ultima volta che lo vidi. In portineria mi aspettava mio padre in lacrime e mi disse che senza di me non ce l'avrebbe mai fatta. Mio padre si recò diverse volte in orfanotrofio a chiedere notizie di Giuseppe e seppe poi che era stato adottato da una coppia di negozianti, senza figli. Forse era andato a star bene. Mia sorella minore Anna, che gli era molto affezionata, avrebbe sempre voluto rintracciarlo, ma io non ero d'accordo, non volevo riaprire una ferita, che ancora oggi mi causa dolore.
Meno di due anni dopo questo evento nacque il mio ultimo fratello. Io avevo giusto diciannove anni.