"Il frumento “Al furment” del Centro sociale ricreativo culturale Il Mulino
Il frumento era una coltura molto importante nelle nostre campagne. Un buon raccolto consentiva di garantire la possibilità di avere pane e pasta per la famiglia contadina ed una buona rendita per i padroni dei terreni.
Faustino
In tempo di guerra, ricordo che mio padre notò che c’era una persona che andava a tagliare le spighe dal nostro campo. Andò a vedere chi fosse e vide che si trattava di un confinante che non aveva nulla da dare da mangiare ai suoi genitori anziani e a suo figlio. Mio padre fece finta di niente perché conosceva le persone, la miseria che avevamo… e la fame che pativamo.
Il frumento veniva seminato nelle prime settimane di ottobre, prima a mano, poi cominciarono a diffondersi le seminatrici meccaniche. A giugno avveniva la mietitura del grano ed impegnava tutta la famiglia contadina. Per aiutare nella mietitura, spesso intervenivano dei braccianti anche provenienti dalla montagna. Per mietere a mano si usava la falce messoria, poi si diffuse la falciatrice meccanica, la “sgadoura”.
Gina
Io ho cominciato a lavorare in risaia a quattordici anni, poi andavo anche a mietere il grano perché si guadagnava di più.
Faustina
Durante la mietitura gli abitanti della montagna venivano a Bentivoglio a fare i braccianti per recuperare la farina necessaria per la famiglia. Anche un mio zio montanaro veniva da noi per la mietitura.
Ivonne
A giugno avveniva la mietitura del grano. Prima degli anni ’50 si mieteva con la falce, dopo si sostituì il lavoro dei falciatori con una macchina, la “SGADOURA” che tagliava le spighe, poi si facevano dei mazzi che venivano legati con la canapa e lasciati nel campo. Per rendere più flessibile la canapa, veniva messa a bagno alcuni giorni prima della mietitura. Due uomini col carro raccoglievano i mazzi di spighe e li portavano nell’aia. Lì si innalzava la “FEGNA”; i mazzi di grano venivano sistemati addossati l’uno all’altro in modo da formare una sorta di capanna coperta con un tetto di mazzi sistemati con la spiga rivolta verso il basso. Questi ultimi, esposti alle intemperie, andavano poi scartati; lì, a volte, le galline facevano le uova.
La mietitura era un momento delicato e si proteggeva il raccolto con preghiere e riti; molti proverbi fanno riferimento a questi momenti e sono rimaste nella memoria invocazioni a vari santi incaricati di proteggere il grano. Bruciare l’ulivo benedetto pronunciando formule propiziatorie, per esempio proteggeva la spiga dagli eventi atmosferici.
Faustina
Quando c’era un temporale, la nonna ci riuniva noi bambini e recitavamo: “Santa Barbara e San Simone libares dal saet e dal tron, dal fug e dal fiam e da mort subitanea”. Facevamo una croce per terra… Si rischiava di perdere il raccolto ma anche si rischiava di morire a ogni temporale! Si bruciava un po’ di ulivo in una “SORA” (contenitore delle braci che serviva per scaldare il letto) e intanto dicevamo una preghiera.
Le spighe erano simbolo di fortuna e prosperità, venivano raccolte in mazzi e conservate in casa per tutto l’anno. Le prime spighe a volte venivano offerte alla Madonna come un mazzo di rose. Anche ora Faustina e Gina dicono di tenere in casa sempre un mazzo di spighe di grano. C’è chi si ricorda di un frate che ogni anno passava a raccogliere le primizie (le prime spighe mature). Dopo la mietitura si andava a spigolare, a raccogliere quanto rimasto sul campo; il lavoro non era gradito alle ragazze perché le stoppie graffiavano le gambe, rendendole meno belle e si sarebbe notato durante il ballo!
Gina
Io andavo a spigolare, poi sgranavamo il frumento, facevamo arrostire i chicchi e con un macinino facevamo la farina per fare le “PAGNOTELLE”.
Arturina
Noi andavamo a spigolare nei campi per raccogliere le spighe rimaste; io avevo un sacchetto e andavo in mezzo alle stoppie e mi veniva il nervoso perché mi foravano le gambe, poi la sera volevo andare a ballare e non mi piaceva avere tutte le gambe grattate! Ma non sarei neanche e poi neanche stata in casa, nemmeno si mi avessero legato!
Le ragazze per conservare la pelle più chiara, meno segnata dal sole, mettevano la carta di giornale dentro al fazzoletto che legavano in testa.
Durante il lavoro, ragazzi e ragazze si adocchiavano, poi durante le feste, i balli ci si incontrava. Le occasioni erano varie.
Gina
A mietere il grano trovai il fidanzato: lui mieteva col motore, con la “SGADOURA” mentre io facevo i covoni. Lui mi vide sotto al cappello; indossavo un grande cappello per proteggermi dal sole, ma lui mi vide lo stesso! Mi sposai a diciassette anni e andai a vivere nella famiglia di mio marito. Abbiamo avuto una bella vita, andavamo in giro insieme!
Norma
Anch’io e mio marito Clelio ci siamo incontrati durante la mietitura.
Infine avveniva la trebbiatura, che fu la prima operazione ad essere meccanizzata.
Ivonne
Arrivava nell’aia la trebbia a “BATER” e si buttavano dentro i “COU”. Da una parte uscivano i chicchi di grano e andavano direttamente dentro ai sacchi mentre la pula veniva tenuta per fare il letto alle mucche e la paglia era raccolta in “BALLINI” con la pressa.
Gina
Prima che esistesse la macchina trebbiatrice, si faceva in tanti modi: uno è la “ZEIRCIA” o “VARZELA”, cioè due bastoni legati insieme che si sbattevano sulle spighe; si diceva “battere” il grano. Dopo si è continuato a usare la “ZEIRCIA” per sgranare i fagioli.
Ivonne
Oppure si usava un rullo che veniva trainato dalle bestie o dai cavalli.
Arturina
Io mi ricordo quando battevano il grano a mano. Lì, dove avevamo la casa noi, c’era una grande aia e mi ricordo che andavo a vedere quando portavano il grano. C’erano tanti contadini che portavano là il loro raccolto e “BIM BUM BAM”… battevano con questi bastoni!