Quando il nonno morì seppi che la casa, con il terreno circostante, era stata lasciata, in parti uguali, alla sua donna a me, suo unico nipote.
Questo c'impedì di giungere ad una liquidazione del bene che rimase quasi abbandonato per alcuni anni, finché la donna non morì in un incidente stradale ed io, con sorpresa, ereditai anche la sua parte.
Di tanto in tanto, a turno, prima che se ne andasse, ci si recava per controllare, pulire un po' e per farci qualche opera di manutenzione ma erano almeno tre anni che non tornavo lì e il pensiero che avrei dovuto decidere per la messa in vendita dell'immobile m'infastidiva.
Era stata mia moglie a sollecitarmi alla vendita. Non ne sapevo il motivo ma una sensazione indecifrabile mi dissuadeva da mettere in vendita la casa del nonno. Era come strappare le prime pagine del diario della mia vita per questo poi non valeva la pena di leggere il resto. Non che quel diario immaginario fosse interessante per qualcuno ma io avevo bisogno di analizzare la mia vita per trovare una risposta o almeno una tregua alla mia insoddisfazione velenosa cercando nel passato.
Ho invidiato la vita di nonno Marco che, per giunta, conoscevo vagamente, filtrata e ingigantita dal tempo che mi riportava discorsi dell'infanzia.
Arrivai solo con la mia auto, in un mattino di fine maggio di due anni fa. Un tiepido mattino, come solo maggio sa dare.
Parcheggiai nel vecchio box che cigolò all'apertura e mi mostrò un sacco di vecchi oggetti impolverati. Spegnendo il motore m'accorsi che avevo il silenzio che mi circondava: un fastidioso intruso. Tutto acquistò un'aria più naturale. Un roseto, che il nonno aveva piantato e curato tanto tempo prima, proseguiva nella fioritura, anche se notai che i petali delle rose erano attaccati da un qualche parassita che ferocemente e, senza alcun rispetto per la loro bellezza, li bucava e ne incupiva il colore. Quel roseto mi circondava la linea parabolica della vita: c'erano i boccioli teneri e compatti; c'erano i fiori nel pieno della loro vitalità e c'erano quelli che cominciavano a sfiorire e attendevano l'imminente caduta dei petali sulla terra per ritornare nell'eterno ciclo vitale. Guardando la natura anche l'evento della morte, della fine, acquista una sua armonia perché la natura è la vera nostra madre non il progresso, patrigno, falso e invadente che scambiamo per lei e al quale affidiamo le nostre speranze.
Guardai la collina oltre la casa dove da ragazzino il nonno mi portava a sedere sotto ad un faggio e mi raccontava storie piene di verità e di bugie. Era tutto come allora eppure malinconicamente diverso. E' stato in campagna che mi è venuto il gusto del recitare.
Un po' il nonno che amava imitare i versi degli animali e le peculiarità espressive degli individui, un po' le vecchie storie narrate e mimate dagli avventori dell'osteria del paese, un po' la caratterizzazione delle persone che all'epoca e in campagna risultava molto più marcata. Ogni individuo era un’orchestra.
Il silenzio compatto o un fruscio inatteso, le cose nascoste dalla vegetazione, il vento fra i rami, le mura vecchie anche di secoli mi hanno segnato nell'animo, rendendomi “nervoso” incapace di assuefarmi completamente alla falsa realtà della città con le sue geometrie esasperate e prevedibili, i suoi rumori assurdi ed invadenti.
Conto di fermarmi qui solo fino a domani e voglio visitare la casa per stimarne il valore. Il valore, già quale valore? Quello commerciale fatto di cose concrete. Le atmosfere, i ricordi, valori impagabili, non interesserebbero all'eventuale acquirente.
Spengo il cellulare, ultimo contatto con il mondo che ho lasciato e resto assorto, lasciando che i pensieri fluiscano leggeri e positivi, lievi come la rugiada e che s'insinuano nel mio essere, trasmettendomi messaggi di pace. E' pomeriggio pieno e sto bene così. Era tanto che non ero così solo, senza sentirmi tale. Non ho voglia di entrare e visitare la vecchia casa e tanto meno ho voglia di tornarmene alla vita di tutti i giorni. Mastico un filo d'erba succulento e respiro profondamente inalando aria fresca e pulita. Poi mi decido e apro il portone scricchiolante. Mi assale un odore pesante e antico. Il silenzio all'interno sembra un invadente invisibile estraneo che mi osserva.
E' da un'ora che girovago per le stanze. Ho trovato una scatola di vecchie foto e me le sto guardando. Usava così un tempo. Le foto erano messe in un album, ma solo le più importanti: quelle dei matrimoni, battesimi o altri rari eventi della vita. Le altre erano ammassate dentro ad una scatola di ferro, così che vi si ingiallivano. Ne ho trovata una di quando avevo quindici anni. C'è la data dietro. Ci sono io, mia madre.... Com'era bella mamma! Ci sono anche altri volti familiari ma scomparsi da tempo. E' la foto di un esterno. La casa è ancora circondata da alcune magnifiche querce tagliate anni fa. Vado al vecchio armadio cercando un guanciale e una coperta per la notte. Lo apro e m'investe quel tanfo di colonia antica ammuffita mista al sentore di sigari. Sono i vecchi abiti che hanno scaldato e assorbito odori e sudore di corpi scomparsi. Una giacca di pelle. Mi pare di ricordarla. La metteva spesso nonno Marco. Spinto da una curiosità strana, frugo all'interno; c'è ancora un coltellino per tagliare i sigari, un bigliettino accartocciato con un indirizzo e un portafogli vuoto; non proprio vuoto. All'interno c'è una foto del nonno che abbraccia tenendolo sollevato un bimbo di circa tre anni. Sono io. Mi commuovo. Il nonno conservava questa foto nel portafogli; mi aveva nel cuore il nonno. Stringo la giacca fra le dita e mi pare abbia la consistenza di una giacca indossata, come se vi fosse qualcuno invisibile all'interno.
Sono tornato nel soggiorno e all'improvviso ricordo che dovrei tornarmene in città. Le mille scadenze d'ogni giorno. Gli impegni che ingolfano le nostre giornate.
Affiderò ad un’agenzia il disbrigo della vendita della casa. Mi trattengo però. Questo viaggio nel tempo, lontano dai rumori molesti del mio quotidiano, lontano dagli affanni, dalla frenesia, dal rincorrere inutilmente non si sa cosa, mi ha dato una pace interiore a cui non voglio subito rinunciare e così decido di restare almeno fino al giorno dopo.
Fino a... si vedrà.
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