"Scrivere che passione" di Maria Rosa Fiorini - tratto da La scrittura del ricordo

 
 
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Sono nata nel 1943 in una notte di bombardamenti in piena seconda guerra mondiale. Questo deve avermi segnato, perché è tutta la vita che mi sento in guerra con tutto ciò che ferisce.
La prima battaglia è stata contro la fame: dividere quel poco che c’era con i miei fratelli, mangiare tutto fino all’osso; la frutta non mi sognavo di spellarla perché la buccia toglieva la fame e, come ho letto dopo, faceva anche Pinocchio. La nonna a volte comprava in un negozio del centro, a poco prezzo, delle paste dolci rotte perché non si sarebbero più vendute: “le briciole delle paste” e ce le portava. Io prendevo la mia porzione e andavo a mangiarla in solitudine; masticavo piano e trattenevo a lungo il boccone per gustarne tutti i profumi e i sapori. La sera a volte mangiavamo un po’ di farina di castagne compattata e messa a cuocere direttamente sulla stufa; purtroppo non riuscivo a deglutire quel pastone e dicevo che non mi piaceva, col risultato di andare a letto senza cena. Intorno ai dieci dodici anni, cominciammo a mangiare un po’ di carne e la fame che mi aveva perseguitato per tanto tempo, si attenuò.

Il 1956 fu un inverno freddissimo, con tanta neve. Una mattina vidi un fenomeno inconsueto. Voci concitate di gente spaventata ci fece uscire velocemente per vedere cosa accade”. Guardavano tutti il cielo e vidi che era di mille colori, strisce di luce verdi e viola si rincorrevano: una tavolozza di colori che affascinava. Quando uscì anche mio padre disse subito “E’ l’Aurora Boreale”, e increduli fissammo a lungo il fenomeno in atto. La nostra casa era molto fredda, l’unico ambiente riscaldato era la cucina e noi ci riunivamo intorno all’unica stufa. A dispetto di ciò, fino a dopo l’adolescenza non ho mai avuto né raffreddore né tosse. Ora invece, con le case riscaldate, le influenze imperversano e l’aria è carica di smog, polveri sottili e quant’altro.

Allora, chi aveva fatto le scuole medie, poteva trovare un buon lavoro se si dava da fare; in seguito molti iniziarono ad andare all’università. Il lavoro era quasi assicurato per i bravi giovani che in seno alle Aziende erano anche tutelati.

Abitavamo in un’estrema periferia della città di Bologna, dove c’era ancora la campagna e il suo profumo e quello delle rose ci inebriavano quando tornavamo dal Rosario del mese di maggio. Col calare della sera si sentivano i grilli che con il loro cri-cri rompevano il silenzio e le lucciole che ci danzavano attorno: una vera magia! Come rimpiango il silenzio!

Le calde sere d’estate ci si radunava fuori dal caseggiato e le nonne portavano ognuna la propria sedia. I nonni non erano tanti come adesso; quelli che c’erano non andavano all’Ospizio, rimanevano nelle famiglie ed erano rispettati. Quando morivano, nella casa c’era la veglia funebre e noi bambini li andavamo a vedere: non ho mai avuto paura!

Ritornando alle sere d’estate, noi piccolini eravamo affascinati dal buio; giocavamo a nascondino, facevamo corse pazze per le strade; auto non ce n’erano, contavamo le stelle che erano più luminose e qualche volta andavamo a sentire i discorsi dei grandi che raccontavano aneddoti della vecchia Bologna e storie varie della guerra che non erano mai volgari. Si faceva senza la TV. La notte, quando eravamo a letto, sentivamo rientrare i ragazzi più grandi che cantavano, fischiavano e ciò ci faceva compagnia.

Sembra che adesso le cose siano migliorate ma tante altre mi mancano. Ho imparato a navigare su Internet, a scrivere con il computer, ma è come correre dietro al fulmine. La tecnologia è in continuo evolvere e non credo in futuro, anche per l’età, di poter stare aggiornata.

Tanti sono stati i cambiamenti di questi ultimi ottanta anni e credo, in buona parte, di averli vissuti.