"Storia di bovini in pace ed in guerra"
Sono nata del comune di Castel d'Aiano, sull'Appennino, tra le valli del Reno e del Panaro. I miei genitori erano mezzadri, lavoravano un appezzamento non molto grande, per metà tenuto a foraggio e per metà coltivato a granturco, grane e patate, avevano la stalla e poi c'era il bosco, in cima ad un monte, dove andavamo a raccogliere le castagne, che si mangiavano per diversi mesi invernali.
Ricordo che una volta, avrò forse avuto quattro o cinque anni, ero con mia madre in un pascolo su un crinale molto scosceso. Mia madre vide due mucche che si spingevano e cozzavano con le corna ed ebbe paura che nello spingersi una rotolasse giù per la scarpata. Mi disse perciò di andare a separarle. Mi misi in mezzo a loro e le incitai ad allontanarsi. Una delle due si spostò agevolmente, l'altra, che aveva poco spazio, nel girare su se stessa mi pestò un piede scalzo con lo zoccolo.
Mi misi a piangere perché il piede mi faceva male. Mia madre, poco incline alla tenerezza, non si diede pena e mi esortò ad alzarmi e proseguire. La mucca però, sentendo i miei strilli, tornò indietro, mi annusò il piede e me lo leccò, dimostrandosi così più sensibile della mia mamma.
Castel d'Aiano, nel 1944 – 45 fu teatro di guerra, trovandosi proprio sulla Linea Gotica. La mia famiglia abitava nella frazione di Villa d'Aiano, che si trova un po' più in basso, verso la valle del Panaro. Per diversi mesi, nell'inverno del 1945, quando già gli alleati avevano liberato Castel d'Aiano, la frazione di Villa d'Aiano rimase sotto occupazione tedesca.
I tedeschi obbligavano spesso contadini a scavare trincee e fossati difensivi, a trasportare materiale ed altri servizi.
Molto preziosi erano i carri trainati da buoi, mezzo principale di spostamento di famiglia e masserizie, spesso oggetto di requisizioni.
Un giorno i tedeschi vennero a casa nostra per requisire delle bestie da macellare e presero due vacche romagnole che erano l'orgoglio di mia madre per quante erano belle e forti nel tirare il barroccio.
Mia madre pianse e supplicò, chiese che scegliessero piuttosto altre bestie, ma non ci fu niente da fare. Non si diede tuttavia per vinta, il giorno dopo portò con sé un vitello ed andò a piedi al comando tedesco a proporre uno scambio, sconsigliato da mio padre che riteneva le vacche già macellate ed il viaggio inutile. Quando arrivò a destinazione, c'era già aria di smobilitazione: i tedeschi stavano partendo in tutta fretta e non avevano avuto il tempo di occuparsi delle vacche, affidate ad un contadino. Nemmeno lo scambio con il vitello li interessava più perché non avrebbero saputo dove caricarselo.
Fu così che la tenacia di mia madre venne premiata; ritornò a casa con le due vacche romagnole e con il vitello. Il padrone la lodò molto e disse che si era proprio meritata di tenersela tutte per sé, salvo poi dimenticare la promessa quando, alla fine dell'anno, a guerra terminata, si trattò di fare i conti.