Nutrirci è la prima cosa che facciamo appena nati e questa facoltà è una delle ultime che perdiamo, anche nei casi di demenza avanzata. Per questo l’alimentazione è un capitolo essenziale del Pai, il Piano di assistenza individuale delle persone che vivono nelle strutture di ASP, compilato ogni 6 mesi, salvo esigenze speciali. E’ così importante che gli assistiti mangino e lo facciano con la massima autonomia possibile che gli operatori, dalla dietista, ai medici, alle infermiere, fanno il possibile per adattare la dieta alle esigenze di ognuno, fino a comporre dei menù personalizzati, a volte anche all’ultimo momento, se necessario.
 
Le visite dei tirocinanti del corso di laurea in dietistica dell’Università di Bologna permettono di dedicare qualche attenzione in più agli ospiti, restituendo agli studenti l’occasione di entrare nel vivo della professione di Matilde Rossini, dietista e responsabile dell’igiene alimentare di ASP, che li accompagna per 5 mattinate nelle proprie strutture.
 
 
“Stare qui è fondamentale per la mia professione”, dice Davide, che non esclude affatto di lavorare in una struttura come quella che sta visitando, il Centro Servizi Saliceto, dove tutti i giorni si servono 150 pasti ad altrettanti ospiti, tre volte al giorno, senza contare la merenda. E’ alla sua prima esperienza di tirocinio, ma il confronto a tu per tu con gli anziani su quello che amano o non amano mangiare gli ricorda certe chiacchierate coi suoi nonni. Oggi ha avuto grandi soddisfazioni, perché la donna che ha intervistato e di cui ha scrupolosamente annotato gusti e preferenze, una signora di 98 anni con le idee molto chiare, alla fine si è convinta ad accettare qualche variazione, a patto che una volta alla settimana venga inserita una bella bistecca di manzo.
 
“Le necessità dei bambini e degli anziani si assomigliano”, dice Beatrice pensando al tirocinio che ha fatto la settimana scorsa nelle mense scolastiche e confrontando l’esperienza con i bambini, che per ora sente come più vicina alle sue inclinazioni, con quella di oggi in via di Saliceto. “In entrambi i casi, devi trovare piatti che siano di loro gradimento, che possano consumare da soli e senza sentirsi costretti, e allo stesso tempo devi creare un menù vario e che soddisfi le esigenze nutrizionali”, spiega. Variare. È proprio quello che Matilde Rossini cerca di garantire, facendo da tramite fra il personale delle residenze, che conosce bene gli ospiti, e i cuochi del centro pasti di Camst, la ditta che gestisce il servizio in appalto.
 
“Parlare con questi giovani tirocinanti piace molto agli ospiti”, racconta Matilde, perché “anche persone svogliate nei confronti del cibo, sentendosi messe al centro, recuperano la voglia di mangiare”. Le interviste vengono fatte dai tirocinanti con la supervisione della dottoressa Rossini, ma i ragazzi entrano in contatto anche con ospiti affetti da demenza o reduci da patologie che non permettono di instaurare un vero e proprio dialogo. Il giro parte assistendo alle misurazioni con cui le infermiere controllano le condizioni nutrizionali di una signora colpita da ictus e da allora nutrita attraverso un sondino naso-gastrico; e quelle di un’altra donna reduce da una frattura al volto, che proprio oggi tornerà dalla dieta frullata a quella tritata. Le operatrici pesano la prima donna su una sedia a rotelle-bilancia e la seconda attraverso un sollevatore-bilancia, gli ausili che permettono di svolgere queste attività col maggior agio e sicurezza possibile per tutti. Poi i tre tirocinanti si dividono per fare le interviste individuali. Solo dopo si ritroveranno insieme al dottor Lucio Tondi e alla Responsabile attività assistenziali del reparto Gelsomino per inserire i dati raccolti nel software che serve a compilare il Mini Nutritional Assessment, lo strumento di monitoraggio e valutazione per individuare i pazienti a rischio di malnutrizione.
 
Quando si avvicina l’ora della consegna dei pasti, Matilde porta la sua squadra in cucina. Qui possono osservare due operatrici che, appena ricevuti i carrelli mandati da Camst, aprono le scatole termiche e ne scompongono il contenuto, decine di contenitori sigillati, ricomponendoli secondo un nuovo ordine nei tre carrelli di acciaio riscaldati con cui li porteranno nelle aree di ristorazione. L’operazione dura appena 5 minuti - oggi accelerata per non far aspettare troppo gli ospiti, dato che il camion è arrivato un po’ in ritardo. Nel frattempo Matilde ha controllato sulla bilancia alcune grammature e ha raccolto alcuni campioni, che poi, appena i carrelli partono verso i reparti, assaggia e propone ai suoi ragazzi. “E’ scotta come deve essere”, sorridono.
 
Nel menù del pranzo ci sono risotto ai funghi, involtini di verza e cannellini in umido, in tutte le declinazioni previste (solida, tritata o frullata); poi, oltre alle varianti individuali previste dal Pai, ci sono sempre la pasta in bianco per chi anche all’ultimo minuto la preferisse, il brodo e la salsa di pomodoro, che aiutano la responsabile del reparto a comporre il piatto in modo da renderlo il più possibile gradito al singolo ospite. “Abbiamo introdotto una cremosa dolce per chi non riesce più a mangiare il salato”, spiega la dietista, perché “il dolce è l’ultimo sapore che smettiamo di riconoscere, come è stato il primo che abbiamo conosciuto attraverso il latte materno”.
 
Al pasto possono essere presenti anche i parenti e le tavolate sono composte in modo da favorire la socialità; chi ne ha bisogno riceve un sostegno individuale. Se qualche piatto rimane pieno, le operatrici propongono subito un’alternativa. Anche i tirocinanti fanno un ultimo giro per i tavoli e salutano le signore intervistate in mattinata. “Ma perché vi disturbate?”, chiede una di loro.
 
Tratto dal periodico di informazione di ASP Città di Bologna_Mosaico News nr. 1/2016